La sanità in Uganda
L’Uganda ha visto negli ultimi quarant’anni un continuo susseguirsi di guerre e carestie che ne hanno fatto uno dei Paesi più poveri al mondo. Ha contributo a questa non invidiabile classifica anche una disastrosa situazione sanitaria.
Negli anni Ottanta imperversavano ancora malattie da noi ormai debellate da tanto tempo. Ricordo ancora benissimo il primo incontro con i lebbrosi nel villaggio di Alelele e con i bambini poliomielitici a Opit.
Ricordo la grande preoccupazione in tutti noi volontari per la malaria, che mieteva tantissime vittime, ma anche per le diarree e infezioni intestinali causate dall’uso di acqua non potabile.
Gli anni Novanta e i primi anni Duemila furono caratterizzati invece da vere e proprie pandemie. La prima fu l’AIDS, che, a causa dell’altissima mortalità, portò l’Uganda a diventare “il Paese più giovane del mondo” e quello con il più alto numero di orfani. Arrivò poi la terribile epidemia di ebola, che mise in allarme il mondo intero e fu sconfitta (non definitivamente) grazie ad un eccezionale ed eroico sforzo umano e sanitario.
Nel 2019 la principale causa di morte era ritornata ad essere la malaria, ma l’arrivo del Covid ha nuovamente cambiato lo scenario. All’inizio sembrava che l’Uganda sarebbe stata sostanzialmente risparmiata, grazie anche al clima caldo e alla bassa età media della popolazione. Il Paese ha adottato da subito un rigido lockdown con coprifuoco notturno, chiusura totale delle scuole, ma non è riuscito certamente né a garantire il distanziamento né cure adeguate ai positivi. I primi casi riscontrati nel Paese riguardavano per lo più i camionisti provenienti da Kenya e Tanzania.
Purtroppo il virus ha iniziato ben presto a diffondersi e ha colpito mortalmente numerosi missionari (primo tra tutti Fratel Elio Croce a Gulu), ma anche suore locali e insegnanti. La quasi impossibilità a mantenere il distanziamento sociale soprattutto nelle immense baraccopoli, il non utilizzo delle mascherine, l’estrema fragilità della sanità statale (solo 55 i posti ospedalieri di emergenza disponibili), il numero davvero esiguo di vaccini disponibili ha infine permesso al virus di esplodere in concomitanza con l’arrivo della stagione delle piogge. In poche settimane la situazione è andata fuori controllo al punto che il governo ha imposto un altro lungo periodo di chiusura totale. Purtroppo sono risultati positivi anche un paio di nostri collaboratori locali e alcuni responsabili del progetto SAD.
In questa situazione davvero difficile “Insieme si può…”, nonostante le limitazioni di movimento, continua ad essere presente attraverso la distribuzione di mascherine, la dotazione di respiratori al centro medico St. Rita, il sostegno economico alle persone colpite dal virus di cui veniamo a conoscenza. In Karamoja, dove per il momento la situazione sembra ancora sotto controllo, continua la perforazione e la riparazione di pozzi d’acqua sicura, fondamentale per il rispetto delle norme igieniche.
Piergiorgio Da Rold