Negli occhi di chi guarda
“Kampala è meravigliosa. Nelle 2 ore passate in macchina per attraversarla, nulla di ciò che abbiamo visto aveva un senso”. Mentre vago per l’aeroporto di Bruxelles e la luce dell’alba si mescola alle luminarie natalizie, sorrido pensando alle parole di Ermes. Ha ragione il mio collega, Kampala si riassume in una accozzaglia di continui contrasti con i colori, l’immondizia, i venditori ambulanti, i motorini equilibristi con in sella interi mobili che le popolano. Eppure, le sue parole mi risuonano nella testa proprio mentre realizzo che il senso che non so più cogliere è piuttosto quello del panorama che mi circonda qui, in aeroporto, nel cuore dell’Europa.
Passo da un mondo all’altro almeno tre volte all’anno ma non riesco ad abituarmi alla brutalità della ricchezza. Ci sono cresciuta, in questo mondo. La maggior parte delle persone che incrocio mi somiglia, parla lingue che conosco, veste come me… Eppure non sento che tra loro ci sia uno spazio per me. Il consumismo di questo aeroporto, di questo mondo, ha davvero più senso delle strade di Kampala? A occhio, mi sembrano quasi più numerose le lampadine di uno solo degli alberi di Natale che mi circondano di quelle che illuminano l’intera capitale ugandese.
In questi tre mesi di progetti, avventure e disavventure ugandesi, io ed Ermes non abbiamo giocato a fare i locals: dopo un po’ impari che non sei, non sarai e non puoi essere uno di loro. Impari a conoscere, rispettare ed apprezzare Baganda, Karimojong ed Acholi, e al contempo a conoscere e rispettare le tue necessità di occidentale in un mondo duro come sa essere l’Uganda in cui si sognano, pianificano e sviluppano i progetti di “Insieme si può…”.
Degli ultimi 16 mesi, ne ho passati circa 7 in Africa. Eppure, mentre le percorro in direzione dell’aeroporto di Entebbe, le strade surreali di Kampala ancora una volta mi insegnano una lezione nuova ed importante: in questi mesi non mi sono abituata alla miseria, ho semplicemente imparato a coglierne ed accoglierne la dignità più profonda. Guardando bambini, uomini e donne che si guadagnano da vivere tra i rifiuti di una discarica, che trasportano pesi inverosimili su capi retti da colli fieri ed adornati, che si fanno il bagno sul ciglio della strada e riciclano l’acqua fangosa della pioggia tropicale per lavarsi i vestiti, perfino guardando le ragazzine che si vendono ai vecchi muzungu (uomini bianchi), guardando ciascuno di loro non provo più pietà. Certo, è un mondo ingiusto e ineguale. Naturalmente non mi sta bene e intendo continuare a fare del mio meglio per migliorarlo per quanto posso. Salutando le strade di Kampala, però, sorrido mentre mi stupisce con la sua ennesima lezione di vita: la sua bellezza, così come la dignità di chi ci vive nella miseria e nelle disuguaglianze, sta negli occhi di chi guarda.
Francesca Costantini – Responsabile progetti internazionali di “Insieme si può…”