“Quelli” sono io
Là, dove la città sembra finire, ai confini del lago e del mondo, lì sorge la città perduta. Sorgere non mi sembra in realtà il termine adatto. Sopravvive? Incombe? Nessun verbo “attivo” può descrivere un agglomerato di baracche e morti viventi. Gli unici esseri che sembrano vivi in questa valle sono i mosquitos, che incessantemente succhiano il sangue e la vita offrendo in cambio unicamente malaria. Bambini con lo sguardo perso, luridi e lasciati a se stessi osservano con desolazione quella che probabilmente sarà la loro stessa sorte. Donne, consumate dall’HIV più che dagli anni, invitano nei loro letti ancora caldi e sporchi altri uomini devastati dall’alcol, che vedono nell’oppio la loro unica speranza.
L’odore di pesce essiccato e di lago putrido invade l’afa umida in ogni angolo delle baracche di legno e del labirinto di cunicoli che le attraversa. Eppure, qui e lì si incrociano case dignitose, di muratura. Non riesco quindi a non chiedermi: perché quelli che hanno queste case più belle non aiutano gli altri che non hanno nulla? Con che coscienza ci vivono di fianco? Ma poi, a ben pensarci, “quelli” sono io.
Mentre questa consapevolezza si fa strada e mi chiude la gola, il partner di progetto che ci ha portato fin qui interrompe il mio flusso di pensieri: “L’aiuto che si dà alle volte è minimo, un euro o poco più. Ma è come un piccolo fiore giallo in un deserto, dona speranza”. In una comunità con tassi di sieropositività così alti, un progetto per permettere ai malati e alle loro famiglie di curarsi e lavorare vuol dire, in effetti, seminare speranza. Guardo allora il mio compagno di viaggio e di impegno, collega di progetti e avventure, e penso con gratitudine che questa speranza l’abbiamo seminata insieme. Per fortuna, come dice il logo sulla sua maglietta, insieme si può.
Sorrido un po’ malinconica, perché la vita non smette di mostrarci la cruda realtà, ma nemmeno di darci gli strumenti per fare del nostro meglio per cambiarla. Oggi “quella” voglio a essere io, continuare a provare a seminare speranza, cercando di raccogliere vita.
Francesca Costantini – Responsabile progetti internazionali di “Insieme si può…”