È una questione di giustizia

Daniele De Dea è presidente di “Insieme si può…” dal dicembre 2020 e da molto più tempo volontario e responsabile del magazzino dell’Associazione. Ci racconta del bello e delle difficoltà del suo ruolo, degli stimoli che lo motivano e dei contenuti dell’operato di ISP: metterci la faccia e l’impegno, con lo sguardo rivolto verso gli altri e la spinta dell’amore per quello che si fa. Il tutto per una questione di giustizia, a 360 gradi e per 365 giorni all’anno.

Presentati brevemente.
Sono Daniele, da 3 anni sono il presidente di “Insieme si può…” e invece da molti anni seguo con mia moglie il magazzino di ISP in via Feltre, dove organizziamo arrivi e partenze di tutto il materiale che ruota attorno ai progetti e alle iniziative dell’Associazione.

Come ti definiresti in tre parole?
Quello che adesso in qualche maniera “tira il carro”, ma solo per il ruolo formale che ora rappresento come presidente, perché per il resto siamo tutti impegnati in vari modi a “spingere il carro” di ISP, con tutto quello che si porta appresso.

Come definiresti ISP?
“Insieme si può…” la raffigurerei come San Martino, direi che come lui anche noi cerchiamo di dare quello che spetta agli altri mettendoci la faccia, mettendoci le risorse, mettendoci in gioco.

Come hai conosciuto ISP?
Ormai 30 anni fa, quando ho conosciuto mia moglie. Anche prima comunque ero impegnato in attività legate alle missioni, facevo parte dell’Azione Cattolica della mia Parrocchia ed eravamo al fianco di missionari e di altri progetti in varie parti del mondo… Sono convinto che chiunque frequenti un’associazione – di qualsiasi tipo, anche sportivo – abbia una propensione, uno sguardo di apertura verso gli altri, non resta chiuso in sé stesso.

Cosa ha fatto scoccare la “scintilla” dell’impegno concreto?
Sono sempre stato coinvolto nelle varie iniziative del Gruppo di Cusighe e dell’Associazione, poi quando è mancato il nostro presidente Mario Fontana nel 2011 mi sono proposto di continuare il lavoro che lui faceva in magazzino e questo mi ha impegnato più direttamente. È un impegno che tengo ancora e a cui tengo ancora.

Qual è la “benzina” che nel tempo ha tenuto vivo e fatto proseguire quest’impegno?
Sicuramente l’interesse perché gli altri stiano meglio, in qualsiasi parte del mondo essi siano, e purtroppo finché questo non avviene l’interesse c’è sempre. È una storia lunga, è una sfida che anche Gesù ci ha lanciato quando ha detto “i poveri li avrete sempre con voi”: una sfida al nostro egoismo, una sfida che a qualche ora speriamo di riuscire a vincere.

Da dicembre 2020 sei presidente dell’Associazione: cosa significa per te ricoprire questo ruolo?
Essere presidente secondo me significa essere in prima linea e darsi da fare perché “Insieme si può…” prosegua nella sua strada verso gli altri. Poi è chiaro che significa avere delle responsabilità, e non da poco, anche perché comunque la più grande responsabilità è che abbiamo a che fare con le persone, qualsiasi ruolo esse abbiano, e ognuna di loro ha una storia a sé… E qui c’è il bello e la difficoltà di questo ruolo, capire come riuscire a far emergere il buono che è in ogni persona, a relazionarsi, a fare dei passi insieme. ISP per me è una famiglia, e ogni famiglia è fatta di relazioni, non basta schiacciare un pulsante e le cose funzionano automaticamente: questa è la difficoltà, ma anche la bellezza del mio ruolo.

Il tema di questo mese è “365 giorni, 360 gradi”, uno dei concetti cardine di ISP fin dalla sua nascita 40 anni fa: secondo te come ne è cambiata la declinazione nella storia dell’Associazione?
Questa frase era già una sfida importante a suo tempo: rivoluzionava sicuramente il concetto che fino ad allora prevaleva, cioè il supporto al missionario solo in particolari occasioni, dando l’offerta una tantum e poi per chissà quanto tempo magari non si sosteneva più. “365 giorni, 360 gradi” significa invece pensare agli altri e a chi li aiuta ogni singolo giorno, pensandoli dappertutto, non solo nei Paesi più poveri ma anche accanto alla porta di casa nostra.

Di quali contenuti riempi questo concetto oggi?
Io andrei un po’ oltre oggi, c’è bisogno di capire che quello che noi facciamo non è carità, l’elemosina dall’alto, ma è la restituzione di quello che noi abbiamo la fortuna di avere, troppo spesso anche in eccesso, a chi non ce l’ha: è una questione di giustizia, e non sto parlando solo di aiuti economici ma anche di solidarietà, gesti di vicinanza, supporto morale, preghiera.

Da figura di rappresentanza dell’Associazione, cosa ti senti di dire a tutti coloro che in qualche modo entrano in contatto con ISP?
Riprendo quello che dicevo prima: “Insieme si può” è una grande famiglia speciale, ma per farla funzionare ognuno deve metterci il suo, chi ci mette l’impegno, chi la riconoscenza, chi il tempo, chi il lavoro… L’importante è che ci mettiamo tutti l’amore, perché è quello che fa andare avanti quest’Associazione: l’amore che abbiamo per gli altri, che sono l’altra faccia di noi, e credo che aiutare gli altri aiuti anche noi perché se sta bene l’altro membro della famiglia sto bene anche io.

Cosa ti auguri per il futuro di Insieme si può?
Da augurarsi per il futuro è che non ci sia bisogno di ISP, ma questa sarà una strada purtroppo lunga… Per l’immediato futuro dovrà cercare di trovare una sua collocazione all’interno degli Enti del Terzo Settore, dovremo darci una dimensione adeguata per arrivare a quante più persone possibili senza snaturarci, stando al passo con i tempi.

Per concludere, cosa significa per te essere ISP?
Significa, oggi e domani, avere a cuore gli altri, ma anche il mondo che lasciamo a chi viene dopo di noi, per questo le nostre azioni sono rivolte al presente ma anche al futuro, come l’aiuto alle scuole, alla formazione professionale, a trovare un lavoro, e come anche i messaggi che portiamo alle persone sugli stili di vita, il rispetto per l’ambiente, sull’importanza di battersi perché tutti quelli che camminano su questa Terra abbiano diritto a vivere una vita dignitosa.