Disperazione e speranza

Sono stata dieci giorni in Siria. Ora sono di nuovo a casa mia, tra i miei cari, protetta e coccolata dalle mie certezze. Accendo la luce, apro il frigo, carico e scarico la lavatrice e persino l’asciugatrice… E tutto questo mi è sempre sembrato normale, quasi banale. Ora non più, non dopo che ho visto intere città campare con un’ora di elettricità al giorno! Ho visto i bambini chini sui libri alla luce fioca di una lampada a olio, mentre la loro mamma usava una flebile fiammella di gas per scaldare la minestra, e la nonna era china sotto alla stessa debole luce impegnata a ricucire una logora camicia da uomo. Ho visto tanti giovani uomini alla disperata ricerca di un lavoro per poter sfamare la propria famiglia.

Ho visto macerie, tante macerie! Interi paesi rasi al suolo, abbandonati perché viverci è impossibile, villaggi che un tempo, si può capire, erano pieni di vita. Non c’è più nessuno, chi ha potuto è andato via, all’estero, alla ricerca di un futuro migliore. Altri si sono spostati internamente, verso città meno colpite. Ho incontrato famiglie sfollate dai propri villaggi, sistemati “alla meno peggio” in case minuscole, pagando affitti troppo cari. Padri e madri che fanno l’impossibile per garantire l’istruzione scolastica ai propri figli, per mantenere la dignità e l’allegria che fa di una casa un focolare. Non possono tornare indietro, non hanno notizie di chi è rimasto nei villaggi, spesso gli anziani genitori che faticano a lasciare i luoghi in cui sono nati e cresciuti.

Oggi sono ancora moltissimi coloro che fanno la fila alle mense parrocchiali, o ai dispensari medici per avere delle medicine gratuitamente. Tantissimi bambini frequentano i nostri centri di aiuto psicologico e di appoggio scolastico, dove attraverso l’arteterapia curano i traumi e ritrovano l’equilibrio. Molti giovani adulti pensano ancora che andare via sia la loro unica possibilità per potersi costruire un futuro, guardano all’Europa, all’America, al Canada, dove già moltissimi si sono sistemati. Ma sanno bene che non è facile stabilirsi altrove, ricominciare da capo in un paese troppo diverso dal proprio, con un forte senso di sradicamento, senza l’aiuto di genitori e parenti: la solitudine è tanta! Ho incontrato una bella signora alla frontiera tra Siria e Libano, una siriana col passaporto canadese, madre di tre figli. Erano nove anni che non tornava in Siria, che non vedeva i suoi genitori, i suoi fratelli, i suoi amici. Mi ha raccontato di quanto sia stato difficile per lei farsi degli amici in Canada, ricrearsi quella rete di solidarietà così fondamentale nella vita di chiunque, quel “villaggio” che ci aiuta a crescere i nostri figli, le altre mamme, le amiche del cuore, le nonne, le zie…

I siriani non possono e non vogliono cadere nella disperazione, non è un popolo che “si piange addosso”, sono giustamente fieri della loro storia e del loro patrimonio culturale e sono pronti a mettersi in gioco per far ripartire il loro Paese. Ho incontrato giovani e meno giovani con idee imprenditoriali interessanti, che non pensano solo al loro tornaconto personale ma vogliono creare occupazione per dare avvio a una ripresa virtuosa del loro Paese. Sono stati dieci giorni molti intensi, ricchi di incontri, di sentimenti controversi: a volte cadevo nella disperazione vedendo l’enormità della distruzione, le difficoltà della vita quotidiana, la fatica delle famiglie, la rabbia dei giovani, il buio e l’abbandono delle città. Ma sono tornata a casa portandomi dietro anche tanta speranza, perché ho visto negli occhi di molti siriani una grande voglia di vivere, di rinascere, di credere in se stessi e nel loro Paese. Una vitalità che nei nostri Paesi ricchi e ben pasciuti non sempre si percepisce, una fierezza e un desiderio di ricominciare, ricostruire e ritrovare la loro amata Siria. Non dimentichiamoli, hanno bisogno del nostro sguardo, del nostro affetto, della nostra fiducia, del nostro rispetto e, certo, anche del nostro aiuto concreto.

Ana de Estrada – Responsabile raccolta fondi Associazione Pro Terra Sancta