Nessuna donna dovrebbe parlare sottovoce

Francesca Costantini è la responsabile dei progetti internazionali di ISP. Nei suoi vari viaggi nel mondo, oltre a visitare e monitorare l’andamento dei progetti, ha incontrato personalmente centinaia di beneficiari e beneficiarie dei progetti stessi, conoscendo le loro storie e vedendo la trasformazione delle loro vite. In particolare ci racconta di essere molto legata ai progetti che hanno come destinatarie le donne, molto spesso discriminate ed emarginate, ma in realtà veri motori del cambiamento per le loro comunità.

Presentati brevemente.
Mi chiamo Francesca, da oltre 3 anni sono responsabile dei progetti internazionali per ISP, ma sono volontaria dell’associazione un po’ da sempre.

Come ti definiresti in tre parole?
Appassionata, testarda, proattiva.

Come definiresti ISP in tre parole?
Speranza, trasformazione, unione.

Come hai conosciuto ISP?
Da bambina, grazie all’attivismo della mia famiglia.

Cosa ha fatto scoccare in te la “scintilla” dell’impegno concreto?
Il sogno di un mondo più eguale e la rabbia per le ingiustizie.

Qual è la “benzina” che nel tempo ha tenuto vivo quest’impegno?
Le persone che ho incontrato nel cammino, le loro storie. I giovani detenuti incontrati in Bolivia, i ragazzi di strada di Buenos Aires, le ragazze madri adolescenti di Posadas (nel Nord dell’Argentina), le donne degli slum di Kampala, i bambini di Moroto e gli anziani di Marovoay. Ho avuto il privilegio di contribuire a riscrivere centinaia di storie segnate da ingiustizia e disuguaglianza, perché ci potesse essere un lieto fine. In oltre 10 anni di viaggi umanitari e in oltre 5 anni di lavoro nella cooperazione internazionale, ogni esperienza mi ha fatto un dono speciale: il fatto di sentirmi parte di un cambiamento concreto. Questa è la mia benzina.

Il progetto che proponiamo in questo Natale solidale con ISP – raccontato nelle pagine precedenti – è “Donne che cambiano il mondo”, a supporto di 165 donne in 4 realtà diverse. Perché sostenere questo progetto?
Le 4 realtà in cui ISP si impegna attraverso questo progetto – India, Rwanda, Uganda e il Bellunese – sono molto diverse tra loro, ma sono unite da una sfida comune. Troppo spesso, in questi contesti, un sistema discriminatorio priva le donne dell’accesso a opportunità eque di guadagno e riscatto. Questo progetto rappresenta esattamente ciò che descrivevo prima: una sorta di penna con cui riscrivere centinaia storie di discriminazione, trasformandole in racconti con un lieto fine.

Seguendo sul campo i progetti nel mondo di ISP, quanto hai visto e ritieni sia l’importanza del ruolo della donna come agente di cambiamento non solo per la sua famiglia, ma per l’intera comunità, a qualsiasi latitudine?
Secondo me è proprio questo il grande valore aggiunto nell’iniziativa di questo Natale: la mia esperienza in vari Paesi del sud del mondo mi ha mostrato che le donne possono essere forze trainanti e rivoluzionarie per le loro famiglie e comunità. Penso sia il momento di lasciare spazio a questa potenza trasformativa, perché possa esprimersi e diventare a tutti gli effetti una forza generatrice di giustizia sociale e sostenibilità. Sono già numerosi i progetti di ISP in cui questo succede, in cui decine di donne diventano protagoniste di grandi cambiamenti. Se posso permettermi di sbilanciarmi, sono i miei progetti preferiti!

Ci puoi raccontare delle storie reali, visto che molto spesso hai incontrato personalmente le beneficiarie dei progetti durante i tuoi viaggi?
Un esempio significativo ed emozionante di ciò che questo tipo di progetti può realizzare è accaduto qualche mese fa, lo scorso maggio. Con il progetto “Costruirsi un futuro” abbiamo accompagnato 25 donne dello slum di Namuwongo, a Kampala, per quasi un anno, attraverso un corso di alfabetizzazione finanziaria e sartoria. All’inizio del percorso, queste donne apparivano meste, quasi invisibili: faticavano a guardare negli occhi o a parlare ad alta voce, come se non osassero nemmeno immaginare di poter avere una voce in capitolo, nemmeno sulla propria vita. Ma qualcosa è cambiato nei mesi trascorsi insieme. La trasformazione più grande è stata non solo nelle competenze acquisite, ma nella percezione di sé di queste donne. Alla fine del percorso ci guardavano negli occhi con serenità, sorridendo, e ci hanno fatto una richiesta che ci ha profondamente colpiti: organizzare una cerimonia di consegna dei diplomi. Quel pezzo di carta, apparentemente privo di valore formale perché i corsi erano stati organizzati da noi con formatori locali, per loro rappresentava molto di più. Era un simbolo di rinascita, di riscatto, di dignità ritrovata. A maggio abbiamo accolto oltre 100 persone in occasione della cerimonia, ed è stato un giorno davvero molto emozionante: l’intera comunità di Namuwongo ha testimoniato la rinascita di queste donne, che in pochi mesi si erano riscoperte protagoniste delle proprie vite, famiglie e comunità. Non erano più solo “ragazze del ghetto”, viste come strumenti per fare figli o svolgere lavori umili. Ci sarebbero centinaia di altre vite da raccontare, ma queste ragazze le ho viste trasformarsi giorno dopo giorno. Le ho accompagnate nel loro intero cammino, e sarò sempre grata di aver avuto il privilegio di farlo.

Cosa ti auguri per il futuro delle donne, in ogni parte del mondo?
Che ci sia un futuro in cui nessuna donna debba parlare sottovoce.

E per il futuro di ISP?
Di non smettere mai di dare voce a chi ancora non ce l’ha, finché quel mondo più giusto che sogniamo per il futuro non diventerà presente. E di non smettere mai di ascoltare la voce degli ultimi, dei più ignorati, emarginati e dimenticati. Di continuare ad offrire loro una penna, per poter scrivere un percorso di riscatto, per una storia con un lieto fine.

Per concludere, cosa significa per te essere ISP?
Credere in un cambiamento possibile, costruito insieme a centinaia di comunità, bambini, giovani, donne, nel mondo e qui.