Emergenza profughi in Venezuela
La più grande crisi migratoria di cui non avete sentito parlare. Sono urgenti generi di prima necessità, cibo, acqua, vestiario…
Facciamo nostro l’appello dell’amico Silvano Roggero, responsabile del progetto di Sostegno a Distanza in Colombia (BO), che presso la comunità focolarina in cui vive, sta accogliendo alcune delle famiglie di profughi.
Negli ultimi due anni più di un milione di persone ha lasciato il Venezuela cercando rifugio all’estero: una crisi che ha le dimensioni di quella dei profughi siriani in Europa. Le persone si spostano principalmente in Colombia e in Brasile, arrivando a migliaia ogni giorno e scappando dalle sempre peggiori condizioni di vita in Venezuela. È una crisi umanitaria enorme, dalle dimensioni paragonabili a quella dei profughi siriani: e per questo in Sudamerica stanno succedendo cose simili a quelle che accadevano in Europa tra il 2015 e il 2016, con soldati schierati alle frontiere e raid della polizia per bloccare gli immigrati irregolari.
Con un articolo pubblicato a inizio marzo, il Washington Post ha provato a raccontare questo enorme esodo di cittadini venezuelani, e gli effetti che sta avendo sui paesi circostanti. Se prima il Venezuela era un paese che attirava immigrati, dall’arrivo al potere di Hugo Chávez nel 1999 la tendenza si è invertita.
Inizialmente a lasciare il paese furono i più abbienti, che a migliaia si trasferivano in altri paesi del Sudamerica o – se potevano ottenere un visto – negli Stati Uniti. Poi, con l’arrivo di Nicolás Maduro e la bruttissima piega che ha preso l’economia venezuelana, le cose sono peggiorate coinvolgendo soprattutto persone finite in condizioni di povertà. Solo dallo scorso agosto circa 250.000 persone hanno attraversato il confine con la Colombia; ogni giorno circa 3.000 persone fanno la stessa cosa.
A Cucuta, una città colombiana di 650.000 abitanti che si trova lungo il confine con il Venezuela, gli effetti di questa nuova ondata migratoria si sono fatti sentire più che in altri posti. Fino a poco tempo fa la Colombia garantiva ai cittadini venezuelani dei visti temporanei molto facili da ottenere: inizialmente le migliaia di persone che attraversavano il confine ogni giorno lo facevano per fare la spesa o cercare medicinali introvabili in Venezuela. Lentamente però le cose sono cambiate: chi arrivava in Colombia non tornava più indietro.
In una città piuttosto piccola l’arrivo di decine di migliaia di immigrati in pochi mesi ha reso subito difficile la convivenza, e sono nati immediatamente gli stessi meccanismi di chiusura e diffidenza che si sono visti in Europa negli ultimi anni. Dopo che a dicembre il numero di persone che attraversavano il confine era arrivato a 90.000 al giorno, la Colombia ha sospeso i visti temporanei per i venezuelani, ma questo ha soltanto spinto più persone ad attraversare illegalmente lungo i più di 2.000 chilometri di confine tra i due paesi.
I giornalisti del Washington Post che hanno visitato Cucuna hanno raccontato che ogni giorno nuovi venezuelani arrivano in città. Spesso sono intere famiglie, che si spostano con bambini in braccio, trasportando enormi valigie con dentro tutto quello che riescono a stipare. In altri casi arrivano persone gravemente malate, che si dirigono immediatamente verso gli ospedali della città. Nei parchi di Cucuna ora vivono centinaia di immigrati venezuelani e la polizia ha iniziato a fare dei rastrellamenti per espellere quelli che vengono trovati senza documenti. Il Washington Post ha raccontato che i furgoni della polizia vengono riempiti di persone che poi vengono fatte scendere al confine e costrette a tornare a piedi verso il Venezuela.
Per i paesi intorno al Venezuela, affrontare questa enorme crisi migratoria non è una cosa semplice, anche perché il Venezuela non è tecnicamente in guerra (anche se nel 2017 si è arrivati molto vicini a qualcosa che sembrava una guerra civile) ed è difficile inquadrare quello che sta succedendo come una crisi umanitaria. Per la stessa ragione, anche dal punto di vista burocratico, è difficile considerare i venezuelani che arrivano in Colombia o Brasile come “rifugiati”, ha spiegato al Washington Post Jozef Merkx, responsabile per la Colombia dell’Alto commissariato della Nazioni Unite per i rifugiati. Fermare i rimpatri sommari come quelli visti dal Washington Post a Cucuna – che possono riguardare anche persone in gravi condizioni di salute, donne incinte o minorenni – è quindi difficilissimo.
Silvano Roggero