Comunicare
Piergiorgio Da Rold
«In principio era il Verbo, (la Parola) il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto fu fatto per mezzo del Verbo». Le prime parole del Vangelo di Giovanni ci dicono una cosa sorprendente.
Non che Dio è grande, immenso, onnipotente, onnisciente, ma che Dio è Parola, una Parola che quando diventa Comunicazione crea la vita. Le prime pagine della Bibbia ci dicono poi che Dio affida all’uomo (creato a sua immagine e somiglianza) la missione di custodire la creazione e di diventare suo collaboratore affinché la vita sia sempre più grande e piena.
Purtroppo l’uomo, sin da subito, ha usato male la propria libertà, per cui Dio ha cercato di entrare in contatto con lui per ricordargli la sua missione. Dalla Bibbia sappiamo che lo ha fatto attraverso un popolo (Israele) e degli uomini come Abramo, Mosè, Davide…
Lo ha fatto attraverso la Legge e in particolare i Comandamenti. Nei momenti più difficili ha mandato dei profeti (Isaia, Geremia, Ezechiele…) per indicare all’uomo il proprio destino.
Infine, stanco di non essere capito e che le sue parole venissero costantemente fraintese, (anche allora, come adesso, c’erano difficoltà di comunicazione e la diffusione di fake news?) ha deciso di agire personalmente.
«Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2).
«Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio» (Gv 1,1-18).
«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).
Ma che significato può avere per la nostra vita questo comunicare che ci accompagnerà come tema di fondo per tutta la giornata?
Ho scoperto che il verbo “comunicare” ha origini cristiane e significa “partecipare all’altare”, ovvero “partecipare alla mensa eucaristica”, “fare la comunione”.
Ma anche dal punto di vista laico comunicare ha un significato ricchissimo, perché significa “mettere un valore in comune, condividere un dono con qualcuno, creare un ponte tra le persone”.
A conferma di questo c’è il fatto che la sua negazione scomunicare significa proprio escludere, tagliare fuori, emarginare. E sapete quale è ancora oggi la pena più temuta dai mafiosi? Di venire condannati al 41 bis, che prevede il totale isolamento dal mondo esterno e dal rapporto con qualsiasi altra persona. L’isolamento, la solitudine assoluta, se non scelti come vocazione (vedi frati e suore in clausura), sono una cosa spesso intollerabile e che porta alla pazzia.
La comunicazione, invece, presuppone sempre un qualcosa di condiviso tra due o più persone:
– Comunicare è esprimersi e allo stesso tempo ascoltare insieme;
– Comunicare è dare e ricevere, è partecipazione, è dialogo, è interazione, è relazione, è cooperazione;
– Comunicare è “donarsi” in modo davvero altruistico e genuino mettendo in secondo piano il proprio “io” e mettendo al centro l’altro;
– Comunicare è prendersi cura reciprocamente (tra l’altro, curiosamente, se la scomponiamo viene fuori la parola care che in inglese significa proprio “curare”).
Questa premessa ci dice molto sull’importanza che la comunicazione ha nella vita di ognuno di noi e della nostra Associazione. Ricordo a tutti come, non per caso, il primo punto del nostro statuto ci invita, ci ordina innanzitutto e prima di tutto di comunicare chi siamo, cosa facciamo, cosa ci anima.
Far conoscere qual è la situazione in cui vivono tante persone è il primo atto di condivisione che possiamo fare. Troppe volte il grido dei poveri rimane solo un rumore stonato e fastidioso che nessuno ascolta e a cui nessuno risponde.
Far sapere che nel mondo manca il cibo, manca l’acqua, manca l’istruzione e che tutto questo non avviene per caso o per sfortuna, ma che la responsabilità è in una iniqua e criminale distribuzione delle risorse, è essenziale per poter cambiare le cose.
Ma comunicare non può limitarsi a far conoscere: come abbiamo visto, deve diventare scambio, ponte, cooperazione.
Il modo più facile di comunicare è la parola (e tutto quello che a questa è collegato, compreso lo scrivere, le immagini ecc.). Il modo più efficace, invece, è l’esempio. Non posso chiedere a qualcuno di rinunciare a qualcosa per qualcuno, sia pur bisognoso, quando io per primo non mi metto in gioco.
Se predico bene, ma vivo male, la mia comunicazione diventa scandalo.
Lo aveva capito bene San Francesco D’Assisi, che diceva ai suoi frati: «Annunciate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole» (Fonti Francescane, 43).
Lo ha vissuto bene il giudice Rosario Livatino, ucciso 30 anni fa dalla mafia, che rifiutò la scorta perché se doveva morire non voleva che venissero uccise altre persone oltre a lui, e che ha lasciato scritto sul suo diario: “Quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma se e quanto siamo stati credibili”.
(Intervento introduttivo all’incontro annuale dei Gruppi “Insieme si può…” – Longarone, 20 settembre 2020)