Il “concepimento” ad Alelele
La data di nascita del primo gruppo “Insieme si può…” si colloca nei primi giorni di febbraio del 1983, ma può essere interessante indagare qual è stata la data del suo “concepimento”. Per questo è necessario fare un salto indietro di sei mesi, al luglio 1982, e al giorno in cui, nel corso del mio primo viaggio in Uganda, visitando il villaggio di Alelele, ho avuto il mio “battesimo del fuoco” con la miseria, la malattia, l’emarginazione, la fame. Il ricordo di quel giorno è ancora così vivo che non sembrano passati ormai oltre quarant’anni.
Alelele è un piccolo villaggio di lebbrosi situato nel mezzo della savana, a 30 chilometri dalla città di Gulu. La strada per arrivarci è poco più di una pista che le piogge trasformano spesso in un percorso a ostacoli disseminato di sassi, tratti paludosi, buche insidiose. Al nostro arrivo subito accorrono tutti, per primi i bambini che da lontano hanno riconosciuto le macchine, poi via via tutti gli altri. La prima cosa che mi colpisce sono proprio loro: i bambini, molti dei quali ricoperti da una simpatica, anche se a volta un po’ malconcia, tutina rossa.
“Ma come – mi chiedo – i bambini vivono qui, assieme agli ammalati?”. L’evidenza non ha certo bisogno di ulteriori risposte.
… Stringiamo le prime mani, alcune ridotte a semplici moncherini; molti hanno le ferite aperte.
… Un momento di preghiera, la recita del Padre Nostro, noi in italiano, loro in lingua acholi, mi fa sentire meno straniero. In fondo stiamo pregando lo stesso Padre, siamo tutti fratelli. Ma quale differenza!
Avverto che il mio chiedere il pane è un’ipocrisia che ripeto ogni giorno nella misura in cui ho sostituito la Provvidenza (il Padre) con l’assicurazione su tutto, con il frigorifero pieno di roba, con il conto in banca.
Lì no! Lì chiedono il pane proprio per l’oggi e tutti quanti protendono le mani nel gesto del povero che chiede.
… Interrogato dalla lunga fila di sguardi della gente di Alelele, faccio l’esperienza di sentirmi “ultimo nel cuore di Dio”.
Io qui sono più ricco, più sano, meglio vestito di tutti loro.
Io questa sera potrò fare una doccia, mangiare un buon pasto, dormire in un letto vero, con le lenzuola e una coperta.
Avverto dolorosamente che, nel cuore di Dio, prima di me ci sono tutti loro: i bambini mezzi nudi e con la tosse, gli uomini umiliati da una tremenda emarginazione, le donne angosciate per il futuro dei loro figli, i vecchi ciechi e soli.
Partendo per l’Uganda avevo creduto di essere in gamba e che rinunciare alle ferie, pagarmi il viaggio, lavorare duramente tutto il giorno, tutto ciò fosse di per sé sufficiente per sentirmi a posto e pareggiare il conto di una vita fin troppo facile e comoda.
Ad Alelele, dopo solo due giorni d’Africa, mi sono ritrovato in fondo alla fila. L’ultimo nel cuore di Dio.
Nasce in me già quella sera l’impegno solenne a non dimenticare Alelele e a dare una risposta ai bisogni di quella gente anche domani. Capisco anche che da solo sarebbe impossibile e che ho bisogno di una mano, anzi di molte mani. Individuo subito nei tanti amici, già impegnati come me in varie attività parrocchiali, i proprietari di queste mani.
Una volta ritornato a casa sarà su di loro che punterò per far nascere il primo gruppo “Insieme si può…”, e dopo il primo, anche il secondo, il terzo…
Piergiorgio da Rold