Mi chiamo Abdel e sono siriano

Mi chiamo Abdel e sono siriano.

A dir la verità non ricordo molto del mio Paese. Mio papà un giorno è partito e da allora non abbiamo più saputo nulla di lui. Un giorno la nostra casa ha tremato fino a crollare. Mia mamma è riuscita a portarmi fuori, ma mia sorella è rimasta sotto le pietre.

Per noi cristiani la vita già difficile è diventata impossibile e, assieme ad alcuni parenti, siamo saliti su un camion e siamo partiti. Poi abbiamo camminato tanto in un posto dove c’era solo sabbia. Di giorno faceva tanto caldo, ma di notte tremavo dal freddo.

Alla fine siamo arrivati in un posto dove c’erano tante persone come noi. Per un po’ è stato bello. C’erano tanti bambini, giocavamo insieme e soprattutto si mangiava ogni giorno. Ma è durato poco. Un giorno è iniziato a piovere fuoco dal cielo. Tutti scappavano e lo abbiamo fatto anche noi. Siamo arrivati qui in un posto chiamato Gaza, dove davanti a noi c’è tanta acqua. Io e mia mamma viviamo sulla spiaggia in una tenda fatta di stracci. A volte alla sera mi lascia da solo e quando ritorna porta qualcosa da mangiare, ma io vedo che spesso, prima di dormire, piange.

Mi ha detto che un giorno andremo in un posto bellissimo, che si trova oltre il mare. Lì ci sarà da mangiare ogni giorno e potrò andare a scuola. Io non aspetto altro: ogni giorno vengo qui sulla spiaggia e mi siedo su questa barca rotta, immaginando il momento in cui finalmente lasceremo questo posto.

Quanti Abdel in fuga da guerra, odio, fame sognano oggi di entrare in Europa?
Quanti Abdel sono già morti in mare perché nessuno li ha soccorsi in tempo?
Quanti Abdel verranno rimandati indietro perché ritenuti clandestini e irregolari?

Piergiorgio Da Rold