Siamo chiamati a costruire un mondo di pace
Le cronache dei giornali ospitano spesso notizie di conflitti tra nazioni, di guerre civili e religiose, di dispute armate per il possesso di territori e materie prime. Tra i tanti Paesi dove oggi viene sparso sangue innocente ricordiamo l’Afghanistan, il Sudan, l’Etiopia, la Siria, lo Yemen, il Myanmar… Purtroppo la guerra, e le terribili violenze che l’accompagnano, ha condizionato da sempre la vita dell’uomo, al punto da essere definita “la levatrice della storia”.
In realtà solo una mente bacata può vedere la nascita di “un mondo nuovo” nella morte di centinaia di milioni di persone, nella distruzione totale di interi Paesi, nello spreco di immense ricchezze per la produzione di armamenti sempre più mortali per l’intera umanità e il pianeta sul quale viviamo. Nonostante sia ormai evidente che nessuna guerra abbia mai portato qualcosa di buono ai vinti, ma alla fine neppure ai vincitori, ancora oggi nel nostro vocabolario usiamo tranquillamente espressioni quali “guerra giusta”, “guerra santa”, “guerra umanitaria”…
Nel mondo sono attualmente in corso ben 70 conflitti che coinvolgono anche 866 tra milizie armate, gruppi di terroristi, di anarchici, di razzisti, di fanatici religiosi. La spesa militare mondiale, nonostante la pandemia, ha visto nel 2020 un incremento dell’8%, raggiungendo la stratosferica cifra di 2 milioni di miliardi di dollari. Infine, secondo le Nazioni Unite, il numero persone in fuga da violenza, soprusi, fame, miseria è salito a 82 milioni. Tutto questo ha portato Papa Francesco a dichiarare: “Oggi si può parlare di una terza guerra mondiale combattuta a pezzi, con crimini, massacri e distruzioni”. Purtroppo dobbiamo ammettere che, oltre che trasformare la guerra in una cosa “normale”, siamo riusciti a sminuire e a rendere inoffensiva anche la pace, che abbiamo scambiato e confuso semplicemente con una “assenza di guerra” e che è diventata sinonimo di inattività, di riposo, di tranquillità. Non sono forse modi di dire usuali quel “lasciatemi in pace” di uno che non vuole essere coinvolto in qualcosa, così come di uno che muore non si dice che “riposa in pace”?
È quindi necessario e urgente un cambiamento di mentalità a partire dal riconoscere che la guerra non è una fatalità e la pace un’utopia, ma che guerra e pace sono frutto delle scelte di ognuno di noi. Per un cristiano non ci dovrebbero essere dubbi, perché il Comandamento “Non uccidere” non ammette confusioni o incertezze, ma anche per un semplice cittadino italiano la Costituzione solennemente afferma: “L’Italia ripudia la guerra…”.
A proposito della guerra, dovremmo prendere coscienza che:
- ogni volta che facciamo violenza a qualcuno con la parola, con gli scritti, con le opere, contribuiamo a creare una
società “senza pace” - ogni volta che, di fronte alle ingiustizie patite da tante persone, ci mettiamo le pantofole e ci sdraiamo in divano
pensando che “non è un affare che ci riguarda” - ogni volta che giustifichiamo o approviamo dentro di noi qualsiasi tipo di violenza ci stiamo “mettendo contro Dio”, perché Lui è sempre dalla parte dei più deboli, dei poveri, degli ultimi. In questi casi, infatti, per trovarsi dalla parte sbagliata, non occorre uccidere qualcuno: basta non fare nulla.
Viceversa dovremmo convincerci che la vera pace, oltre che “dono di Dio”:
- è frutto dell’azione rispetto allo starsene con le mani in mano
- è movimento rispetto allo stare fermi
- è coraggio rispetto alla paura di compromettersi.
Diventare “uomini di pace” comporta allora un impegno concreto e quotidiano nella costruzione di un mondo migliore per tutti e non solo per i più ricchi, i più forti, i più armati, i più violenti.
In definitiva: “Perché ci sia pace nel mondo, deve esserci pace nelle nazioni. Perché ci sia pace nelle nazioni, deve esserci pace nelle città. Perché ci sia pace nelle città, deve esserci pace tra vicini. Perché ci sia pace tra vicini, deve esserci pace in casa. Perché ci sia pace in casa, deve esserci pace nel cuore” (Lao Tzu).
Piergiorgio Da Rold