Ai confini del mare (15 anni dopo)
Un subcontinente stracolmo di eccessi, di umanità, di distese, di distanze, di fiumi e di mare! Dove le apparenti contraddizioni sul tema dell’acqua si svelano… Da Vijayawada, la città più grande sul fiume Khrishna (che in sanscrito significa “scuro”), uno dei fiumi più lunghi dell’India con i suoi 1.290 km di lunghezza, partiamo alla volta del suo delta, regione tra le più fertili dell’India dove coltivazioni di riso, miglio, legumi, semi oleosi, cotone e tabacco crescono sui suoi fondali ben irrigati. In questa patria di antichi regni, a poco a poco, la terra si interseca con il mare dove vengono allevati i gamberetti. Oltre, nel Golfo del Bengala, il mare si sostituirà definitivamente alla terra.
In questo sistema chilometrico di terra e acqua, la maggior parte delle centinaia famiglie di pescatori è composta da dalit, i fuori casta dell’India, discriminati socialmente e costretti a svolgere i lavori più umili e pericolosi. I bambini appartenenti a questa casta sono spesso esclusi dalla vita comunitaria, e nella maggior parte dei casi sono costretti a lavorare per ripagare debiti contratti dai genitori per acquistare piccole barche di legno o reti da pesca.
Il 26 dicembre del 2004, un terremoto di magnitudo 9.1 al largo di Sumatra provoca una serie di onde anomale, alte fino a 30 metri. Lo tsunami raggiunge le coste di una ventina di Paesi affacciati sull’Oceano Indiano, tra cui Indonesia, Sri Lanka, India e Thailandia. I morti 225.000, 50.000 bambini orfani e quasi 2 milioni di persone perdettero la casa.
Ci troviamo nel villaggio indiano di Katarivaripalem, dove lo tsunami causò gravi danni. La pesca rappresentava infatti l’occupazione per oltre il 90% degli abitanti, mentre la restante parte lavorava nei campi circostanti al villaggio, resi poi temporaneamente incoltivabili a seguito dell’inondazione dell’acqua salata. Tutte le barche, sia in legno sia in vetroresina, e la gran parte delle reti per la pesca furono distrutte, aggravando ulteriormente la condizione economica della popolazione.
All’epoca Insieme si può si impegnò nell’aiuto a queste comunità attraverso l’acquisto, la riparazione e la costruzione di case, barche e reti e l’avvio del progetto di Sostegno a Distanza per circa 150 bambini. Ora, a più di quindici anni di distanza, siamo onorati di trovarci qui sul posto al fianco di ASSIST, l’associazione locale allora intervenuta tempestivamente per fornire assistenza agli abitanti distribuendo coperte, cibo e acqua potabile fornite da organizzazioni internazionali, e alla quale fu affidata la realizzazione del progetto che procede ancora a gonfie vele!
Eccoci qui, dove, nonostante tutta la distruzione da lei provocata, l’acqua rimane sacra e ai fiumi vengono riconosciuti gli stessi diritti legali “con i corrispondenti diritti, doveri e responsabilità” di una persona, come nel caso dei fiumi Gange e del suo affluente Yamuna. Essi sono entità viventi, considerate centrali per l’esistenza della metà della popolazione indiana e per la loro salute e benessere nonostante, purtroppo, siano già incredibilmente inquinati.
Federica De Carli