Veloma (arrivederci) Maurizio
Quel sabato sera Maurizio non stava troppo bene. All’improvviso un dolore aveva iniziato a opprimergli il petto, ma lui dava la colpa all’aria condizionata del supermercato visitato nel pomeriggio con la sorella. Poi domenica mattina il dolore era diventato forte, più forte, insopportabile, al punto da togliergli il respiro. Per sempre. Sono sicuro che il suo ultimo pensiero è stato: «Oddio, non potrò più ritornare in Madagascar!».
Dopo un tempo che non era riuscito a valutare, perché la morte cancella il tempo così come lo conosciamo e lo trasforma in eternità, si era ritrovato in un grande salone addobbato a festa. C’erano già molte persone sedute e altre stavano arrivando. Lui scelse una poltrona in ultima fila, quasi nascosta dietro a una grande colonna. Era un po’ intimorito, ma allo stesso tempo curioso. Istintivamente aveva capito che quello era il momento del Giudizio sulla sua vita.
Quando la sala fu piena, fece il suo ingresso un Signore che sembrava proprio il “padrone di casa”.
Prima di prendere la parola salutò alcune persone sedute in prima fila, poi, guardandosi attorno chiese: «Maurizio, dove sei?». Maurizio non rispose. Certamente non era lui quello chiamato, ma per prudenza si nascose ancora di più dietro la colonna. Ma il Signore ripeté la domanda: «Maurizio Crespi, dove sei? Mi hanno informato del tuo arrivo. Vieni qui accanto a me!». Maurizio non poté far altro che farsi avanti con la sua andatura caratteristica. Nella sua vita aveva sempre cercato di rimanere in disparte e ora tutti avevano gli occhi fissi su di lui.
Il Signore gli andò incontro, lo abbracciò e poi lo portò con sé sul palco. Poi disse:
«Mi dispiace, Maurizio, per quello che ti è successo questa mattina. Credimi, in quei terribili momenti io ero lì al tuo fianco e soffrivo con te, piangevo per te. So che mancherai a tante persone, ai tuoi cari, ai vecchietti dell’ospizio di Marovoay, ai tanti volontari che in questi anni ti hanno conosciuto, agli amici di “Insieme si può…” che hanno perduto un punto di riferimento essenziale per i tanti progetti che stavi seguendo. Mancheranno le tue telefonate: “Piergiorgio mi senti? Io ti sento, tu mi senti?”.
So già che domani qualcuno dirà: “È la volontà di Dio!”, accusandomi di essere il responsabile dell’infarto che ti ha portato via a soli 58 anni, o quantomeno rimproverandomi di non aver fatto nulla per impedirlo. Qualcun altro si chiederà: “Perché è successo a te? Perché a te che stavi facendo tanto del bene? Perché a te e non a qualcuno che se lo merita? Perché a te e non a Putin?”.
“Non è giusto!”, dirà ancora qualcun altro. È vero: non è giusto! Nel mondo ci sono tante cose che non sono giuste. Ma nessuna dipende da me.
Non è giusto che tanti bambini muoiano di fame. Io ho creato un mondo che potrebbe sfamare tutti. Non è giusto che tante persone muoiano di tumore quando immense risorse vengono usate per le armi e la guerra e non per le medicine.
Non è giusto che i figli muoiano prima dei loro genitori.
Il mondo è pieno di ingiustizie e io le patisco tutte.
Io sono sì un giudice, ma un giudice misericordioso, che ha a cuore la sorte dei più poveri, degli ultimi, degli invisibili».
Poi, rivolto a tutti, disse: «Se siete qui significa che tutti voi siete stati in grado di rispondere positivamente alle domande: “Avevo fame, avevo sete, ero nudo, ammalato, in carcere…e tu?”.
Ebbene Maurizio, che ho voluto qui accanto a me, ha risposto a quelle domande in modo del tutto speciale. Maurizio, a quanti bambini malnutriti hai procurato il latte in polvere?
A quante povere vedove, che bussavano alla porta dell’ospizio di Marovoay, hai riempito la borsa di riso, fagioli, olio?
A quante persone hai dato acqua pulita da bere? A quante famiglie di contadine hai ridato l’acqua per irrigare le risaie, riparando assieme a loro gli argini?
A quanti disabili hai fornito una carrozzina, una stampella, una protesi?
Quanti ammalati sono stati curati nei centri medici che hai costruito a Sakalalina e Marovoay?
A quanti bambini hai permesso di imparare a leggere e scrivere nelle scuole costruite a Marovoay?
Certamente tu hai perso il conto, ma ti assicuro che io mi sono segnato tutto.
A quante famiglie hai costruito una casa? Io le ho contate tutte, e sono 140.
E, infine, come ti è venuto in mente di costruire un nuovo carcere a Marovoay, che è sicuramente l’edificio più bello di tutta la città? Non potevi prima mettere a posto la tua stanza nell’ospizio, che è la più piccola e la più calda di tutte?
Perché, prima di costruire bagni e docce per i carcerati (piastrellate a rombo come solo tu volevi e sapevi fare), non hai provveduto a sistemare quelle della casa di riposo, che ancora oggi sono in una condizione davvero poco presentabile?».
Maurizio non rispose, ma infine prese coraggio e chiese: «E ora cosa succede? Chi si prenderà cura degli ospiti della casa di riposo? Chi incoraggerà Sylvain, chi seguirà Maru, Piso, Ravasholona? Chi dirà a Madame Beby cosa fare? Chi completerà le casette per gli alluvionati? Chi costruirà la nuova scuola in ricordo di don Elio? Ho incontrato i suoi amici e ho promesso che i lavori sarebbero iniziati ad agosto».
Il Signore rimase in silenzio, a lungo in silenzio.
Poi disse a Maurizio: «Tu la tua parte l’hai fatta. Ora, insieme, dobbiamo impegnarci affinché quello che tu ed io, assieme a tanti benefattori, abbiamo avviato laggiù possa continuare. Quello che possiamo fare è tenere vivo il tuo ricordo, in modo che ogni volta che la gente penserà a te si senta responsabile di quei poveri che tu gli hai lasciato in eredità.
Ma ora vieni a fare festa assieme a tutti quelli che hai conosciuto e aiutato, e che sono qui da tempo. C’è tua mamma, c’è Fideline, c’è Nonno Albino, ci sono tutti gli ospiti della casa di riposo ai quali hai dato una sepoltura dignitosa dopo aver garantito loro una morte serena.
Vieni Maurizio entra nella dimora preparata per te e per coloro che hanno amato gli altri come se stessi e a volte anche di più. Tonga Soa (benvenuto) Maurizio, nella tua nuova casa in Paradiso».
Piergiorgio Da Rold
Maurizio Crespi era nato nel 1964 a Cologno Monzese (MI), ma all’età di quattro anni si era trasferito a Mezzago (MB) a seguito della morte della mamma Antonia. Dopo aver svolto il servizio civile a Leinì (TO) in un centro per il recupero di ragazzi in difficoltà, si era recato in Madagascar, dove l’Associazione Fides di Milano gestiva un ospedale missionario a Sakalalina, nel Sud del Paese. Qui, tra le tante cose, realizzò un ponte sul fiume Ivily, che tolse l’ospedale dall’isolamento durante la stagione delle piogge.
Dal 2005 al 2013 ha lavorato nella missione dei Padri Carmelitani Scalzi, a Marovoay, cittadina nel nord del Madagascar, dove ha seguito i lavori della realizzazione di un dispensario medico, di una struttura abitativa per medici, di un asilo e di un liceo. Nel 2013 si è trasferito nella casa di riposo del Comune di Marovoay, che ospita persone povere ed emarginate. In questi anni, oltre a ristrutturare completamente l’ospizio, ha realizzato per l’Associazione ASA ben 5 villaggi da 20 case destinate a persone recuperate dalla strada. Con il supporto economico di “Insieme si può…”, ha realizzato un nuovo carcere, decine di casette per famiglie povere, dato assistenza a bambini malnutriti e a disabili, sistemato centinaia di metri di argini nelle risaie, costruito varie scuole e pozzi.
A rendere ancora più speciale la decisione di Maurizio di lasciare l’Italia per dedicare tutta la sua vita ai poveri del Madagascar è stato il fatto che lui era una promessa del calcio: dall’età di 10 anni ha militato nelle giovanili dell’Inter, più volte è stato capitano della squadra, in un torneo ha vinto il premio come migliore giocatore. Ma tutto questo non lo soddisfaceva appieno per cui, quando l’Inter lo voleva vendere a una squadra di Serie C, ha deciso di smettere e di indirizzare la propria vita a giocare e a vincere altre partite.