COVID-19 una storia
Per certi versi mi sento quasi di ringraziare il Covid-19 per avermi fatto incontrare situazioni al limite, altrimenti sconosciute.
Succede ad esempio per Mario (il nome non è quello reale), un uomo di 43 anni che vive da qualche anno nel mio paese, del quale io ignoravo l’esistenza e come me quasi l’intero paese. Eppure 150 chili non passano inosservati! Ma si sa, bisogna essere anche un po’ curiosi, di quella curiosità sana e non morbosa, per intercettare un cosiddetto “caso”. Scoppia l’epidemia e lui, essendo un soggetto fortemente a rischio, non può più lavorare (una borsa lavoro di poche centinaia di euro), sprofondando così in una depressione fortemente negativa che lo porta a stare a letto tutto il giorno. Il suo datore di lavoro e i servizi sociali che mi conoscono mi segnalano il suo disagio e mi invitano a fare una visita domiciliare. Nella sua minuscola, umida e inospitale casa nessuno è mai riuscito a mettere piede. Lui non apre, e poche volte risponde al cellulare.
Mario è un uomo solo, depresso, con la dipendenza dall’alcool, i suoi genitori sono morti giovani a causa dello stesso problema, con le due sorelle nessun dialogo. Eppure è colto, a suo modo interessante, ha due profondi occhi azzurri sempre tristi. È diplomato alla scuola alberghiera. Ha sempre rifiutato le cure per l’obesità, ha un grave problema alle gambe, ha già subito quattro interventi di protesi alle anche. Praticamente vive seduto o sdraiato. È improbabile che possa riprendere a lavorare. Dispone di 280 euro al mese, con i quali deve vivere e pagare le bollette.
Ho provato a telefonargli e gentilmente mi ha risposto che non aveva bisogno di nulla. Ho insistito, nulla. Ho chiesto se potevo passare a salutarlo, e ancora nulla! Ero davvero scoraggiata e mi è balenata un’idea. Perché non approfittare delle sue nozioni culinarie, alle quali fra l’altro sono molto interessata, per iniziare un minimo di interazione? Ebbene, di fronte a questa richiesta si è ammorbidito ed ho potuto incontrarlo.
Mi ha accolta sulla soglia di casa, era malandato, scalzo, i piedi sporchi, le unghie lunghe, la maglia lercia, idem i pantaloni del pigiama. Sbirciando all’interno della casa si vedevano i muri anneriti dalla muffa, l’odore di chiuso e stantio si sentiva fin dall’esterno. Io lo incalzavo con domande su ricette di piatti salati e dolci e lui era ben disposto. Ad un certo punto gli ho detto che ero scomoda a scrivere in piedi, e con fare molto incerto mi ha permesso di sedermi all’ingresso. C’era molto disordine e lui non era sicuro di farmi vedere la miseria che lo circondava. Guardandomi profondamente negli occhi ha espresso tutto il suo disagio dicendomi: “Vivo così”.
Gli ho detto che sarei stata disposta a dargli una mano, ma capivo anche che era troppo presto azzardare interventi di pulizia o riordino; bisognava aspettare, coltivare un dialogo. Doveva fidarsi. Da quel giorno Mario mi telefona quando ha bisogno di qualche cosa, accetta il cibo che gli porto, ha chiesto timidamente se possiamo pagare una bolletta.
Non so come sarà il suo futuro, sono convinta che se lui riuscisse a dimagrire, se curasse la sua depressione, potrebbe camminare e rimettersi in gioco con il lavoro, iniziare un minimo di vita sociale. La strada è ancora lunga e forse non sarà neppure quella giusta, però noi di Insieme si può abbiamo la testa dura e non sarà sicuramente il Covid-19 a fermarci.
Franca De Poi
Responsabile Gruppo ISP Vergante (NO)