1 strumento + 4 pilastri = trasformazione
Il musicista e compositore brasiliano Tony Daniel è stato ospite di ISP a Belluno tra maggio e giugno e ha coinvolto tutti nei diversi incontri con i ritmi del suo ripatòn e il racconto delle attività svolte all’Istituto Ripaxote di San Paolo, da lui fondato e dove attraverso la musica e “quattro pilastri”, si impegna a trasformare quotidianamente le vite dei bambini e dei ragazzi più vulnerabili delle favelas della città.
Presentati brevemente.
Sono Tony Daniel, brasiliano, musicista, sono sposato con Paula e ho due figli, Mariana e Filipe.
Come ti definiresti in tre parole?
Sono una persona felice, sono un sognatore e sono instancabile.
Come definiresti ISP in tre parole?
ISP è un’opera di Dio, è “ponte”, è speranza.
Cosa ha fatto scoccare in te la “scintilla” dell’impegno concreto?
Ho fondato l’Istituto Ripaxote a San Paolo per i bambini che si avvicinavano a me attraverso il ripatòn, uno strumento a percussione che ho inventato. Mi portavo questo strumento ovunque andassi e i bambini erano incantati, riuscivo ad avere tutta la loro attenzione e percepivo che dietro a questo semplice strumento c’era molto di più: ho sentito che potevo fare di più per loro e ho fondato l’Istituto. Ciò che mi ha convinto a partire con tutto questo progetto è stato un incontro: in un momento della mia vita nel quale lavoravo in proprio, ho avuto l’occasione di seguire un intervento di un musicista famoso qui in Brasile, Carlos Martin. Mi aveva contattato per realizzare un video di un suo intervento che faceva all’interno di uno spettacolo, in cui raccontava la sua storia. Lui è un maestro davvero instancabile e sentendolo parlare ho pensato che non potevo fermarmi, che dovevo fare qualcosa anche io attraverso la mia vita, la mia esperienza.
Qual è la “benzina” che nel tempo ha tenuto vivo e fatto proseguire quest’impegno?
A dire il vero sono molte le cose, ma provo a dirne qualcuna. Vedere la trasformazione che avviene nella vita dei bambini è la principale, vedere che il nostro lavoro trasforma la loro vita. Un’altra cosa che mi motiva è sapere che i miei genitori sono orgogliosi di me, che i miei figli sono orgogliosi di me, di quello che faccio, di come occupo il mio tempo.
Come hai conosciuto ISP?
Ho conosciuto ISP attraverso un amico, Filipe, che è un volontario di ISP, è brasiliano, vive in Italia e da anni collabora con l’Associazione. Filipe ha visto quello che stavo facendo e quando è ritornato in Brasile è venuto a trovarmi personalmente ed è stato colpito dal mio lavoro, così mi ha inserito in uno dei progetti di ISP.
Come hai già detto, hai fondato nel 2020 a San Paolo l’Istituto di Cultura Ripaxote per coinvolgere, attraverso la musica e la formazione, i ragazzi delle famiglie più vulnerabili delle favelas della città. Puoi raccontarci da dove è nata l’idea e come siete riusciti a realizzarla?
Nel 2020 abbiamo realizzato lo statuto dell’Istituto e nel 2022 abbiamo iniziato l’attività. In questi due anni ho raccolto i fondi per poter poi realizzare questo mio sogno. Quando raccontavo di questo mio sogno, di voler fare qualcosa di più profondo per i bambini vulnerabili, le persone che mi erano vicine hanno iniziato a sognare con me e mettere a disposizione le proprie competenze, in pedagogia, in musica, in educazione… Io avevo avuto quest’idea, ma la realizzazione nella pratica si deve a questo gruppo che ha iniziato a sognare con me.
Al Ripaxote viene utilizzato in particolare uno strumento a percussione da te inventato, il ripatòn, per cambiare le vite di questi ragazzi. Come avviene questa “trasformazione”?
Tutto è stato racchiuso in quattro temi, che chiamiamo “quattro pilastri”: l’arte, l’imprenditoria, la sostenibilità e la socio-emozionalità, e questi quattro pilastri sono stati trasformati in attività, in lezioni perché i bambini potessero capire che cosa stavamo dicendo. Usiamo il ripatòn inizialmente come uno strumento musicale e poi lavoriamo su tutte le abilità, con le possibilità che la musica offre per una formazione intellettuale, cognitiva e di valori, a 360°. Per esempio la musica lavora sulla leadership, su come vivere in gruppo, sul fatto di vedere i propri amici emergere e attraverso questi valori avviene la trasformazione, il grande cambiamento. Il ripatòn è la “maniglia” di una porta che viene aperta per mettere in pratica i quattro pilastri.
Lo scorso mese sei stato ospite di ISP qui a Belluno e hai coinvolto direttamente e profondamente con la tua testimonianza e la tua musica tutti coloro che ti hanno incontrato. Cosa ti sei invece riportato in Brasile dall’esperienza qui in Italia?
Sono stato a Belluno e ho conosciuto persone meravigliose, che porterò nel mio cuore per sempre. Ho portato a casa molta nostalgia di ciò che ho vissuto, delle persone che ho incontrato, dei bei luoghi dove sono stato. Ho portato in Brasile la speranza, la possibilità che il nostro lavoro, di Ripaxote e di ISP, sia ancor più legato, e possa diventare ancora più profonda la condivisione dei nostri sogni.
Cosa ti auguri per il futuro di Ripaxote?
Desidero che l’Istituto diventi una luce nella vita di decine, di centinaia, di migliaia di bambini e delle loro famiglie. Spero si possa continuare a crescere in dignità, in opportunità, che il Ripaxote possa continuare nella sua azione di trasformazione in modo autosostenibile, senza dipendere dalla mia presenza: che tutti quelli che ne fanno parte possano capire il mio sogno così da non aver più bisogno che io stia con loro, perché saranno altrettanto motivati.
E per il futuro di ISP?
ISP esiste da 40 anni… Associazioni senza fini di lucro che riescono a lavorare per 40 anni vuol dire che hanno una struttura e un modo di operare solidi. Inoltre, siete presenti in quasi tutti i continenti del mondo ed è molto raro per questo tipo di organizzazioni. Desidero quindi che ISP continui a piantare ciò che sta piantando e che possa avere l’opportunità di avvalersi di ancora più persone come volontarie, di bambini come i Colibrì, che possano essere in futuro parte del direttivo. Auguro longevità all’Associazione.
Per concludere, cosa significa per te essere ISP?
Io mi sento ISP per due motivi: il primo perché ISP ha creduto nell’efficacia del mio lavoro e mi ha appoggiato con il progetto di Sostegno a Distanza. Ma anche io, con la mia famiglia, sono un sostenitore a distanza di un bambino in Uganda, ed essere ISP in questo modo è molto, molto realizzante. Ho sempre sognato che il mio sforzo potesse trasformare la vita di bambini che mai avrei conosciuto, e ISP mi aiuta a concretizzare questo sogno.