Il mio impegno per le donne afghane
Laura Quagliuolo fa parte del CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), con cui “Insieme si può…” ha realizzato e realizza diversi progetti a sostegno delle donne in Afghanistan, tra cui il progetto zafferano. Da sempre attiva per la pace e la liberazione delle donne, ci racconta in quest’intervista del suo impegno per queste cause e di quanto sia importante non dimenticare le lotte di chi si batte per la giustizia, ovunque nel mondo.
Presentati brevemente.
Sono Laura, di Milano, lavoro come redattrice di libri scolastici, quasi pensionata, da sempre attiva in movimenti per la pace e per la liberazione di tutte le donne, in qualsiasi parte del mondo.
Come ti definiresti in tre parole?
Direi militante per la liberazione delle donne.
Come definiresti ISP in tre parole?
Mi riesce difficile in sole tre parole… Sicuramente una grande stima del lavoro che ISP ha fatto e sta continuando a fare. Vedo nell’Associazione un’apertura al mondo in senso ampio, laico e non “da elemosina”, nel senso che l’impegno è per dare ai beneficiari dei progetti gli strumenti pratici e culturali per autosostenersi.
Come hai conosciuto ISP?
Durante i miei viaggi in Afghanistan ho incontrato Carla Dazzi, grande attivista per le donne afghane e anche in “Insieme si può…”, e tramite lei quindi ho conosciuto l’Associazione; ISP è una risorsa importante nel supporto ai progetti in Afghanistan.
Ci presenti e ci racconti delle attività del CISDA?
Le finalità del CISDA si collocano nell’ambito della solidarietà sociale, della formazione, della promozione della cultura, della tutela dei diritti civili e dei diritti delle donne in Italia e all’estero. L’associazione si fonda sulla condivisione dei valori umani di ogni persona quali ne siano religione, origine, cultura e nazionalità; lo scopo prioritario è la promozione di iniziative di carattere politico-sociale sia a livello nazionale che internazionale, sulla condizione delle donne che si trovano in situazioni svantaggiate dal punto di vista familiare, economico, sociale e politico, con particolare riferimento alle donne afghane.
Cosa ha fatto scoccare in te la “scintilla” dell’impegno concreto?
Nel ottobre 2001 ho fatto il mio primo viaggio in Pakistan con una delegazione composta da varie persone, attivisti, rappresentanti istituzionali e politici, poco dopo sarebbe iniziato il bombardamento da parte degli Stati Uniti come conseguenza dell’11 settembre. Durante questo viaggio ho potuto conoscere le donne di RAWA e di HAWCA, militanti, laiche, con visione politica e del futuro del proprio Paese e le attività che allora portavano avanti con i rifugiati. Eravamo riusciti ad avere un po’ di visibilità, tanto che al ritorno abbiamo avuto tantissime richieste di testimoniare e raccontare quanto avevamo visto in prima persona e da allora non abbiamo più voluto smettere di tenere alta l’attenzione sul lavoro di queste donne coraggiose.
Qual è la “benzina” che nel tempo ha tenuto vivo e fatto proseguire questo tuo impegno?
Quello che ho appena detto, la volontà di non far cadere l’attenzione. Abbandonarle adesso sarebbe criminale, a maggior ragione dal ritorno dei Talebani nel 2021: anche se una parte di speranza è venuta meno, queste donne non mollano, continuano a impegnarsi in clandestinità con attività concrete ma anche portando avanti un’idea politica e di visione del futuro.
In questo numero, attraverso l’iniziativa dei biscotti di San Valentino, sosteniamo il progetto zafferano con le donne afghane, realizzato ormai da diversi anni grazie alla collaborazione tra ISP, Costa Family Foundation e CISDA. Qual è la valenza di un progetto come questo nel contesto afghano?
È un po’ il discorso che facevo prima riguardo alla funzione dei progetti: e, appunto, attraverso questo progetto le donne si sono professionalizzate partendo da un investimento iniziale (l’affitto del terreno, l’acquisto dei bulbi…) e anche alfabetizzate grazie ai corsi svolti dopo il lavoro. Alfabetizzare in questo caso non significa solo leggere, scrivere e far di conto, come si diceva una volta, ma le insegnanti si impegnano anche per aumentare in queste donne la consapevolezza sulla propria condizione e sui propri diritti, per fargli fare un salto di qualità come agenti del cambiamento e favorire lo sviluppo di una democrazia dal basso. E tutto questo con un progetto in sé molto “semplice” come la coltivazione dello zafferano.
Le donne afghane dimostrano di essere sempre di più una forza che non si vuole arrendere in un contesto quanto mai ostile…
La maggioranza di loro resta comunque oppressa, senza possibilità di scelta, vessata da un sistema fortemente patriarcale, basti pensare che l’80% delle donne afghane è ancora analfabeta. Questo perché è chiaro – in Afghanistan come in altre parti del mondo – che le donne sono resilienti, quindi si tengono soggiogate per paura che si ribellino, perché si sa che hanno un potenziale enorme. Le associazioni di donne che sosteniamo stanno cercando di tenere duro, di non smettere di farsi sentire.
Della situazione delle donne afghane e dell’Afghanistan in generale – così come di molti altri Paesi dove vengono negati i diritti fondamentali delle persone – si sente troppo poco spesso parlare nella cronaca quotidiana: come mai secondo te?
Purtroppo ci si ricorda di certe tematiche solo nelle date simboliche, ma nel mondo, da più parti, abbiamo esempi di donne – e non solo – che scendono in piazza per protestare, che chiedono un cambiamento del sistema, una riscossa sociale… Il problema è che troppo spesso il mondo si gira dall’altra parte. Dispiace, perché abbiamo tutti bisogno, donne e uomini, di un cambiamento del sistema che ci governa e di una forte solidarietà internazionale.
Quale può essere quindi l’impegno di ciascuno di noi nel sostenere e nel non dimenticare queste cause e queste persone?
Tenersi informati, perché ci sono tanti canali al giorno d’oggi per farlo, e trasmettere questo tipo di informazioni ad altre persone, anche in contesti informali. E poi, in base alle proprie possibilità, sostenere economicamente i progetti, anche con poco ma quel poco è comunque importante. Ognuno di noi può e deve tenere “accesa la lampadina” per non dimenticare le lotte di chi si batte per la giustizia, che non è solo per sé ma per tutti coloro che sono nella stessa situazione nel mondo. Dobbiamo capire che un mondo dove ci sono più giustizia e consapevolezza è un mondo migliore per tutti, “fregarsene” perché “tanto il problema è in un luogo lontano e quindi non mi riguarda” non funziona: la pace va costruita goccia dopo goccia, ovunque nel mondo.
Cosa ti auguri per il futuro di “Insieme si può…” e del CISDA?
Sia per ISP che per il CISDA mi auguro le stesse cose: che continuino il lavoro che stanno facendo e a far crescere tante persone attorno a sé. Non è facile il coinvolgimento dei giovani nell’impegno, ma vediamo dei significativi esempi concreti e quindi la speranza nel futuro c’è.
Per concludere, cosa significa per te essere ISP?
Mantenere lo sguardo aperto, attento, non lavorare partendo dalle differenze, ma dai punti in comune, facendo contemporaneamente tesoro delle differenze per arricchirsi.