Una famiglia “viaggiante”
Luigi, Paola, Emanuele, Tommaso, Filippo e Francesco: in poche parole, la famiglia Montanari, che abbiamo battezzato la “famiglia viaggiante” di San Carlo – Cirié (TO). Una dimensione, quella del viaggio, scelta dai genitori Luigi e Paola come parte integrante della loro vita, e inevitabilmente trasmessa ai 4 figli, che fin da piccoli si sono approcciati a persone e culture di tutto il mondo, tra ricordi significativi, episodi divertenti e qualche immancabile imprevisto.
Presentatevi brevemente.
Luigi: Siamo la famiglia Montanari: io sono Luigi, il marito di Paola, e siamo genitori di Emanuele, Tommaso, Filippo e Francesco. Nella vita mi piace impegnarmi per gli altri, di professione faccio il medico.
Paola: Io sono Paola, mi definisco una mamma inquieta e sempre in movimento.
Emanuele: Sono Emanuele, ho quasi 17 anni e al momento cerco nuove vie per esprimere la mia creatività.
Tommaso: Sono Tommaso e mi piace il basket.
Filippo: Sono Filippo e ho 12 anni.
Francesco: Io sono Francesco, ho 8 anni e anche a me piace giocare a basket.
Come vi definireste in tre parole?
Per definirci in tre parole abbiamo deciso di dire famiglia, viaggiatori e accoglienti.
Come definireste ISP in tre parole?
Come definiremmo ISP? Spinta, possibilità, scoperta.
Come avete conosciuto ISP?
L. Abbiamo conosciuto l’Associazione in Kenya, può sembrare strano ma è così! Nel 2004 io e Paola eravamo in viaggio nel nord del Paese e un giorno siamo andati a pranzo da monsignor Pante. Nella sua libreria c’era un libro, “50 volte Africa”: siccome a me piacciono molto i libri, l’ho aperto e ho visto queste storie di viaggi in Africa, leggendo soprattutto un nome, Piergiorgio Da Rold. Mi sono detto che quando sarei tornato in Italia gli avrei scritto, come poi ho fatto, lui mi ha risposto e da lì è nata l’avventura di ISP anche qui a Cirié – San Carlo, in Provincia di Torino, dove è nato un Gruppo.
Cosa ha fatto scoccare la “scintilla” dell’impegno concreto?
L. Per me è stata una dimensione che ho sempre respirato fin da piccolo, nella mia famiglia d’origine: l’attenzione verso il prossimo, l’interesse per le problematiche dei Paesi più poveri. Ricordo i miei genitori e i miei nonni impegnarsi da sempre in attività di servizio verso gli altri o per il sostegno a missionari nel mondo.
Qual è la “benzina” che nel tempo ha tenuto vivo e fatto proseguire quest’impegno?
L. Sicuramente è tutto quello che riceviamo, piuttosto che quello che diamo! Personalmente una parte importante deriva da quello in cui credo, l’essere cristiano è un elemento portante. Poi c’è l’aspetto umano, quello del darsi per gli altri: cito l’esperienza in Thailandia a Bangkok, quando siamo stati ospiti di FORDEC – associazione che sosteniamo da tempo – dove abbiamo ricevuto tanta umanità, attenzione e amicizia da tutti coloro che abbiamo incontrato durante il periodo in cui siamo stati lì con tutta la famiglia per dare una mano alle loro attività con i bambini.
Il tema di questo mese è il viaggio (ottobre è anche il mese missionario, ndr), che è parte della nostra Associazione da sempre, anzi, in realtà tutto è partito da un viaggio, quello di Piergiorgio Da Rold nel luglio 1982. Come interpretate questa dimensione, voi che siete una famiglia “viaggiante”?
L. Incontro.
P. Modo di essere.
E. Scoperta.
T. Imprevisti.
Fi. Progressi della scienza.
Fr. Divertimento.
Avete da sempre portato anche i vostri figli in viaggio, fin da piccoli: come hanno vissuto queste esperienze?
L. e P. Per noi è sempre stato un obiettivo quello di investire nella crescita della loro dimensione “mondiale”: dargli l’opportunità di confrontarsi con altre culture per farli uscire dalla mentalità locale, che va bene ma che a volte è anche restrittiva. Quello che noi vogliamo lasciargli viaggiando è un’eredità di conoscenza, incontro, apertura verso gli altri e vediamo che questo “bagaglio” è già parte del loro modo di essere e di approcciarsi alla vita.
E. Per me, soprattutto negli ultimi tempi in cui ho una consapevolezza maggiore rispetto a qualche anno fa, viaggiare è diventato un capire che il mondo non è solo quello che vedo tutti i giorni attorno a me, ma le culture, le persone sono molte di più, c’è un mondo esterno che si può vivere solo viaggiando e questa è una grande fortuna che ho.
Volete condividere con noi un ricordo significativo e un episodio divertente di qualcuno dei vostri viaggi?
L. e P. Sono stati ovviamente tantissimi, soprattutto legati agli incontri con le persone. Mi viene in mente in Kenya nel 2004, in una missione sul Lago Turkana, al confine con il Sud Sudan. Una sera, parlando con una delle suore, mi disse che avevano un ambulatorio dove spesso assistevano le popolazioni locali dei Turkana e degli Elmolo e io le dissi che in quanto medico mi sarebbe interessato molto assistere al lavoro dell’ambulatorio. Proprio quella notte arrivò una donna che partorì, ma essendo malata di AIDS morì di parto, mentre il bimbo sopravvisse: ho impressa ancora l’immagine di Paola con il bimbo in braccio, mentre la zia stava arrivando per prendere il bambino e allevarlo al posto della madre. È una storia triste, ma con molto significato perché, pur nel dolore, sapevamo che quel bambino aveva un futuro nella sua famiglia allargata.
Un altro incontro che ci ha segnato è stato quello con Susan, nella baraccopoli di Nairobi, una donna abbandonata dal marito con un figlio disabile che ha costituito un’associazione per il sostegno dei bambini disabili e da quest’idea è nato poi il Centro St. Margaret di Tassia, sostenuto anche dai bambini del Gruppo Colibrì di San Carlo – Cirié. Purtroppo Susan è mancata improvvisamente, ma la sua eredità va avanti.
Un episodio divertente? Quella volta che, in Thailandia, incontrammo don Bruno Soppelsa quasi per caso, perché il Dottor Amporn, dandoci il numero del missionario italiano di nome don Bruno che dovevamo incontrare, ci diede sbagliando quello di don Bruno Soppelsa e ci conoscemmo anche se non era previsto, scoprendo che tra l’altro era anche amico di ISP. E poi tutti i momenti dei viaggi con i bambini, che mescolano il divertimento con l’inevitabile imprevisto!
Cosa vi augurate per il futuro di Insieme si può?
Ci auguriamo sicuramente che sia sempre “contagiosa” come lo è stata per noi, e soprattutto che continui a mantenere lo spirito che ha, la prontezza nel rispondere alla chiamata dei bisogni dell’altro e che ci sia sempre anche un po’ di sana pazzia, come dice Piergiorgio.
Per concludere, cosa significa per voi essere ISP?
Per noi significa essere aperti al mondo, agli ultimi, essere uniti, creare legami e creare ponti: in breve, è creare comunità.