#igiene: Nzara, Sud Sudan
Storie dell’altro mondo
Fondato dalle suore comboniane nel 1954, l’ospedale S. Teresa di Nzara è diventato presto il primo ospedale di riferimento in questa regione del Sud Sudan meridionale. Le suore, che ancora oggi lo gestiscono, hanno seguito dapprima un programma contro la lebbra, aggiungendo subito dopo anche la tubercolosi. Nel 1995 è stato completato il reparto pediatrico e nel 2005 la clinica HIV/AIDS.
Ad oggi conta 129 posti letto divisi fra maternità, medicina generale, pediatria, ambulatorio per esterni, con una sala operatoria e una banca del sangue. I dipendenti attuali sono 83, con la prospettiva di un incremento di altri 40 nel giro di un paio di mesi. Ogni anno vengono curati in quest’ospedale circa 350.000 pazienti.
La varietà di cure mediche di base e di servizi offerti a tutela della popolazione è fondamentale, soprattutto in un periodo di emergenza sanitaria come quello che stiamo vivendo da alcuni mesi. A Nzara ci si sta dando da fare per prevenire la diffusione del Covid-19, ma, come già raccontato per il colera in Karamoja, in alcune zone del mondo non è il coronavirus il problema principale.
“Qui al S. Teresa, una grossa fetta dei pazienti che abbiamo sono bambini al di sotto dei 5 anni, che purtroppo spesso muoiono per malattie trasmesse dalla mancanza di acqua potabile: colera, diarrea, dissenteria”, racconta suor Laura Gemignani, direttrice dell’ospedale. “Il Sud Sudan ha sempre sofferto per la scarsità d’acqua, e a causa del conflitto e dell’instabilità politica i sistemi idrici del paese sono stati trascurati e vandalizzati.
Senza acqua pulita disponibile, la popolazione non ha altra scelta che accontentarsi di acqua sporca, il che aumenta notevolmente la probabilità di contrarre malattie ed infezioni, soprattutto per le fasce di popolazione più vulnerabili come bambini, donne in gravidanza e disabili”.
Lo scopo di avere un punto di accesso all’acqua potabile all’interno dell’ospedale facilita la prevenzione e la cura stessa delle malattie ad essa correlate per tutta la popolazione che si presenta all’ospedale di Nzara. C’è un pozzo, ma interverremo costruendo una cisterna per immagazzinare l’acqua piovana e nella quale si possa anche immettere l’acqua che si recupera dai tetti dei diversi reparti della struttura sanitaria. Inoltre installeremo due pompe solari per assicurare l’acqua anche in caso di avarìa.
In questo modo si potrà dotare la struttura di punti strategici adeguati per il lavaggio delle mani con acqua e sapone, per promuovere l’igiene personale, ridurre i casi di malattie legate all’acqua contaminata e, non ultimo in questo periodo, anche la diffusione del coronavirus.
di Marilisa Battocchio, Responsabile progetti ISP Kampala (Uganda)