Lokirù

Il povero che non sapeva di essere uno degli uomini più ricchi al mondo

 

Una storia come tante

Lokirù è un uomo povero, ma così povero che più povero proprio non si può.

La sua casa è di legno e paglia, il suo letto è una stuoia distesa sul pavimento di terra, la cucina è un’unica pentola annerita dal fuoco, la riserva d’acqua sono due taniche da 20 litri che le figlie riempiono ogni giorno recandosi al più vicino pozzo, distante un’ora di cammino.

La coltivazione di un pezzo di terra attorno alla capanna non sempre gli permette di ricavare quel tanto da mettere in tavola ogni giorno almeno un piatto di polenta e fagioli per sé e per la propria famiglia. Un ulteriore aiuto viene dalle poche capre che possiede, ma, la sua è comunque una vita sempre al limite della sopravvivenza. Basta un ritardo nelle piogge, la malattia di un figlio, la necessità di acquistare una zappa nuova in sostituzione di quella ormai completamente consumata dall’uso, e allora sì che sono problemi!

Nessuno dei suoi quattro figli è mai andato a scuola perché troppo lontana da casa e perché saper leggere e scrivere non riempie lo stomaco. Certamente è più utile che i due ragazzi pascolino le capre e le due ragazze si rechino al pozzo e aiutino la madre nelle faccende di casa.

 

Arriva Mozungu

Un giorno nel villaggio arrivò un Muzungu (uomo bianco) a bordo di una grande auto piena di scritte e simboli strani. Volle parlare con gli anziani ai quali offrì molti regali: tabacco da naso per gli uomini, pentole e coperte per le donne, “tam-tam” (caramelle) per i bambini, ma soprattutto alcune scatole piene di strane buste di plastica. Il Muzungu disse che contenevano una bevanda portentosa che dava forza, riduceva la fatica, faceva passare la fame. Si trattava di una bevanda molto più potente di quella, fatta in casa, che erano abituati a bere alla sera, seduti in cerchio all’ingresso del villaggio.

In cambio di quei doni, il Muzungu chiedeva solo di poter portare via quelle pietre bianche che affioravano qua e là dal terreno e altre pietre scure piene di puntini colorati.

Il Muzungu offriva anche la possibilità agli abitanti del villaggio di lavorare per lui estraendo quei sassi dal terreno, riducendoli in piccoli pezzi, caricandoli sui camion che lui avrebbe mandato ogni giorno. La paga era buona: 5.000 scellini ugandesi per ogni mucchio di sassi ridotti in piccole dimensioni, più una bustina di quella bevanda che bruciava prima in gola e poi nello stomaco, ma che li avrebbe resi più forti e resistenti alla fatica.

Gli anziani non capivano perché il Muzungu fosse così interessato a quelle pietre che per loro non avevano nessun valore, ma non vedendoci nulla di male, anzi, intravedendo una nuova possibilità per il villaggio, fecero quanto gli veniva richiesto.

Anche Lokirù, vendute le capre per acquistare alcuni attrezzi utili a spaccare le pietre e abbandonato il campo che comunque era completamente inaridito dalla mancanza di pioggia, andò a lavorare con tutta la sua famiglia in quello che ben presto divenne un buco sempre più grande e profondo.

Nonostante il lavoro fosse molto duro, era convinto di essere un uomo fortunato. Grazie a quel Muzungu dagli occhi strani, ora stava molto meglio di quando coltivava la terra e pascolava le capre. Aveva comprato un materasso, qualche nuova pentola, dei vestiti per i figli, un nuovo cappello tradizionale per sé.

L’unica cosa che lo preoccupava un po’ era che, da quando aveva iniziato a bere il contenuto di quelle bustine, lamentava sempre più spesso dei bruciori allo stomaco e un forte dolore al fianco. Inoltre stava scoprendo che, man mano che passava il tempo, una bustina di quella bevanda non gli bastava più e che, per riuscire a svolgere il suo lavoro, doveva berne molte di più. Ma questo non era un problema perché quel liquido, chiamato gin, waragi, vodka… si trovava in vendita ovunque e a poco prezzo: 5.000 scellini per un intero litro; meno di un chilo di fagioli e di farina.

Un dottore, anche lui Muzungu, che lavorava all’ospedale di Matany, gli aveva detto che doveva smettere di bere così tanto perché una parte del suo corpo chiamata fegato si stava ammalando gravemente. Lui però non ci credeva. Poteva mai essere cattiva una cosa portata dai Muzungu?

 

Tante storie come quella di Lokirù

Rupa, il villaggio dove vive Lokirù, è situato ai piedi della “grande montagna”: il monte Moroto, alto più di 3.000 metri, nella regione ugandese del Karamoja.

Secondo un recente studio, il potenziale minerario di questa parte d’Uganda, da sempre isolata dal resto del Paese e, fino a un decennio fa, terra di razziatori di bestiame, ma anche terra di fame, è una delle zone geologicamente più antiche della Terra e per questo un vero e proprio scrigno di ricchezze. Qui sono presenti, e in grande quantità, i più rari e preziosi minerali del globo, al punto da poter affermare che ci si trova di fronte a un vero e proprio “scandalo geologico”. Coltan (il preziosissimo minerale che rende possibile la realizzazione dei cellulari), oro (qui c’è il secondo giacimento mondiale!), grafite, rame, ma anche marmo pregiato e chissà quali altre ricchezze ancora sepolte in questa savana semi-desertica, rendono oggi il Karamoja uno dei territori più ambiti della Terra. Non per nulla la regione ha visto negli ultimi anni l’arrivo dell’elettricità e la realizzazione di strade asfaltate, in sostituzione delle polverose e spesso impraticabili piste di terra rossa. Multinazionali agroalimentari e potenze straniere (Cina in testa) fanno a gara per accaparrarsi fette sempre più ampie di territorio in cambio di poche briciole, che finiscono per lo più nelle tasche di corrotti funzionari politici.

Nonostante le immense ricchezze del proprio territorio, il Karamoja rimane ancora oggi una della aree più povere e meno progredite del Pianeta. Malnutrizione, mortalità infantile, analfabetismo (soprattutto femminile), sono una maledizione storica che diventano anche un atto di accusa sia nei confronti del Governo ugandese, sia di tutti coloro che stanno letteralmente rubando le immense ricchezze di questa poverissima gente.

Qui, forse più che altrove, è evidente come lo slogan “Aiutiamoli a casa loro!”, che anche in Italia oggi va per la maggiore quando si parla di povertà e di Sud del Mondo, sia una presa in giro nei confronti di questa gente che in realtà, con la propria miseria, sta alimentando la nostra società del benessere e dello spreco.

Qui, più che altrove, è evidente come la povertà non sia frutto della sfortuna o della mancanza di voglia di lavorare, quanto piuttosto di una scandalosa ingiustizia.

Se le cose funzionassero in base al diritto e alla giustizia, Lokirù e tutti gli abitanti di Rupa, sarebbero tra gli uomini più ricchi del mondo. Loro però non lo sanno, tutti si guardano bene dal dirglielo e soprattutto dallo spartire (restituire?) almeno un po’ di quelle ricchezze rubate dal loro territorio.

Lokirù, alla fine della giornata, quando dopo 10 ore passate sotto il sole a spaccare pietre riceve 10.000 scellini (2,5 euro) per il lavoro di tutta la famiglia, ha un moto di riconoscenza verso quel Muzungu che gli permetterà di mangiare, anche oggi, un piatto di polenta e fagioli e di bere il contenuto di quelle miracolose bustine che riscaldano lo stomaco, danno forza, riducono la fatica, fanno passare la fame.
Alakarà (grazie) Muzungu!

Piergiorgio Da Rold